Venere Influencer

Articolo uscito su “Il Riformista” sabato 29 aprile 2023Basta che se ne parli. Se questo era l’obiettivo della campagna del Ministero del Turismo “Open to Meraviglia” – che trasforma la Venere di Botticelli in una digital influencer in giro per l’Italia – si può dire pienamente raggiunto.

Con un messaggio un po’ passivo-aggressivo, l’agenzia pubblicitaria ha aspettato qualche giorno e ha ringraziato gli italiani per i “meme e le appassionate discussioni”: “rompere il muro di indifferenza” e aprire un “dibattito culturale” intorno all’idea della Venere-influencer era proprio l’effetto sperato. Con il senno di poi, però, sembra la reazione di chi, dopo essere scivolato su una buccia di banana davanti a tutti, afferma convinto: l’ho fatto apposta, sono caduto perché volevo vedere la vostra reazione.

Infatti, più che “un’appassionata discussione”, contro Open to Meraviglia si è aperto un coro di indignazione, fatto di derisione e denigrazione, che è riuscito nell’impresa impossibile: unire il paese. Nell’arco di pochi giorni, ci siamo trasformati in una nazione di pubblicitari esperti – dopo essere stati virologi preparati e geopolitici navigati – per affermare con sicumera: “l’avrei fatta meglio io, per un centesimo del budget”.

È innegabile che una certa sciatteria nella realizzazione ha davvero lasciato il fianco scoperto alla critica. Video scaricati dal web, shooting non originali, account e siti non registrati, errori di traduzione: in questi giorni si rincorrono imbarazzanti retroscena che fanno gridare al dilettantismo all’italiana

Ma di questi tempi sui social, si sa, non si perde mai l’occasione per fare di tutta l’erba un “fascio”. La Venere-influencer è stata accusata dei mali del mondo, dalla mercificazione dell’opera d’arte alla normalizzazione dei corpi, fino al tentativo di imporre un’egemonia culturale di destra nell’immaginario internazionale. E di fronte alle critiche ridicole sulla Venere che vuole fascisteggiare il mondo e profanare la vera cultura, viene voglia di difendere la bellezza ispiratrice della rinascimentale Simonetta Vespucci come ambasciatrice social dell’Italia nel mondo.

D’altronde la bellezza della donna in carne ed ossa a cui – così vuole la leggenda – si è ispirato Botticelli è riuscita a sconfiggere la morte: “Morte bella parea sul tuo bel viso” scriveva Lorenzo il Magnifico citando Petrarca, dopo la scomparsa prematura di Simonetta a soli 23 anni. La sua grazia “senza pari” è stata capace di stregare artisti e modificare accordi politici nella Firenze medicea.

Una vera influencer del suo tempo.

Ma in Italia l’associazione Venere-influencer tocca un nervo scoperto. Nel lontano 2020, dedicavo un capitolo del mio libro Chiara Ferragni. Filosofia di una influencer all’analisi delle reazioni scomposte di fronte alle foto della Ferragni alla Galleria degli Uffizi. Tanto che sulla copertina campeggia proprio il volto della Venere del Botticelli e molti – alla ricerca di ulteriori pretesti di critica – tirano in ballo il mio libro come fonte non dichiarata del concept della campagna.

Al di là dell’autoreferenzialità, oggi sembra di sentire l’eco di quei critici apocalittici: la foto di Ferragni umilia l’arte del Rinascimento, Botticelli si sta rivoltando nella tomba, basta con la mercificazione dell’arte e con lo svilimento della cultura, Ferragni uccide il mito di Venere perché uccide la meraviglia. Per citare solo le accuse più benevole…

Non curante della polemica, il direttore degli Uffizi Eike Schmidt annunciava fiero che nel fine settimana successivo al passaggio della “divinità contemporanea nell’era dei social” il museo aveva avuto un incremento del 27% di pubblico. E aveva rispedito al mittente le critiche parlando del “puzzalnasismo” di un’autoproclamata élite culturale che non dialoga più con i cambiamenti dell’immaginario pop e popolare.

Ed è vero. I cambiamenti della fruizione dell’arte non vanno di default demonizzati. Nella sempiterna corsa al conformismo del pensiero – in cui non esistono sconfinamenti, sovrapposizioni, contaminazioni – ci siamo dimenticati che la storia dell’arte non è altro che una serie continua di disturbanti e provocatorie profanazioni.

Grazie ai social e all’influencer marketing, l’opera d’arte può anche incontrare un pubblico nuovo e giovane. E si rompe finalmente il valore elitario che faceva del museo un luogo sacro e inviolabile, lontano dalle masse e accessibile a pochi eletti. D’altronde oggi gli influencer condizionano anche i consumi culturali, sono gli opinion leader che possiamo permetterci e rappresentano un tassello importante che plasma l’immaginario delle nuove generazioni.

Così come il target di quel post di Chiara Ferragni non siamo noi “puzzalnasisti” che ci facciamo il selfie con la Gioconda ma non lo pubblichiamo sui social. Così il target della campagna ministeriale non è rappresentato dal “turista che vorrei”. Il turista colto ed educato, degno di sostare davanti alla Venere perché non desidera tirare fuori lo smartphone, che non cede allo scatto con un pezzo di pizza in mano, che non si fa influenzare dagli stereotipi sull’italianità e non corre a farsi la foto con il centurione romano davanti al Colosseo. Ci piace vivere di turismo culturale di massa, ma lo vogliamo d’élite; ci piace la comitiva internazionale, ma la preferiamo a nostra immagine e somiglianza.

“Due cliché fanno ridere, cento cliché commuovono, perché celebrano una festa di ritrovamento” scriveva Umberto Eco. Il problema, quindi, non sono i tanti cliché della meraviglia italica, ma un utilizzo improvvisato dei codici del medium pubblicitario contemporaneo.

La bellezza delle foto – e lo sanno bene gli influencer che per selezionare lo scatto perfetto scartano milioni di prove fallite – è una costruzione che implica una perfetta conoscenza del mezzo tecnico, un’arte dell’artificio pianificata fino all’ultimo pixel.

La questione estetica e la consapevolezza tecnica vanno di pari passo: in un mondo di nativi digitali; la grafica della campagna ha uno stridente effetto “vintage” nel rendering e nel montaggio. Lo stile “passatista” della forma sicuramente non era voluto: il risultato tecnicamente mediocre con pose innaturali e outfit improbabili è buono per un pubblico digitalmente analfabeta, non per il target giovane a cui una campagna social si rivolge. L’effetto “pecoreccio” rafforza nell’ultimo leone da tastiera l’idea di poter essere l’autore di un montaggio più elaborato con la versione gratuita di Photoshop.

Peccano della stessa presunzione i creativi dell’agenzia pubblicitaria che nel loro #opentograzie ringraziano a nome di Venere per la sua rinnovata popolarità “dopo più di 500 anni”. Di sicuro la novella Simonetta Vespucci deve ancora trovare il novello @Sandro_Botticelli capace di interpretare digitalmente la meraviglia della sua bellezza senza tempo.