Articolo uscito sulla rivista “endoxai” (gennaio 2025) – “I nostri svaghi sono finiti” e ora che si sono finalmente sedate le polemiche sull’ultima stagione possiamo tornare a riflettere su Games of Thrones e sulla sua grandiosa capacità di costruire uno degli universi narrativi e visivi più stratificati e complessi della cultura di massa contemporanea.
Il mondo di Games of Thrones è un mondo in guerra, devastato da una lotta fratricida tra le famiglie dei Sette Regni per la conquista del trono. Un mondo in cui nessuna violenza è risparmiata: ciò che maggiormente caratterizza l’uomo, a differenza dell’animale, è la sua propensione alla crudeltà.
La casata – il ghenos direbbero i greci – è l’unico orizzonte di senso che definisce il codice etico all’interno del quale si forma l’individuo. Il sangue è il destino che orienta lo svolgersi degli eventi, dagli Stark ai Lannister, dai Baratheon ai Targaryen.
Un cosmos ordinato da frontiere reali e simboliche che escludono ciò che è estraneo. Infatti, un altissimo e gelido sbarramento, una sorta di Vallo di Adriano di ghiaccio, delimita le terre del Nord dove vivono gli Estranei. Una Barriera sorvegliata dai Guardiani della Notte nella speranza di fermare l’Alterità.
E tutti sono consapevoli che “l’inverno sta arrivando”. “Winter is coming” ripetono – ogni volta che si presenti una possibilità – gli abitanti del Regno del Nord. E con l’inverno, forze oscure trasformeranno il cosmos in caos, l’ordine in disordine. “L’inverno del nostro scontento” non si trasformerà mai in “gloriosa estate”, come sperava il Riccardo III shakespeariano.
Games of Thrones è stato un affresco gotico che ha saputo mescolare storia e fantasia, realtà e letteratura, attualità e immaginazione. Le vicende di Westeros assomigliano alle cruente vicende della storia inglese e agli appassionanti intrighi del Rinascimento italiano.
La rivalità tra i Lannister e gli Stark somiglia– perfino nell’assonanza linguistica – al sanguinoso conflitto dinastico della Guerra delle Due Rose. Rivivono, accanto ai draghi e ai metalupi, i Lancaster e gli York. E sulle due casate incombe, come nella realtà storica, un terzo e imprevedibile elemento: i Tudor incarnati nella la regina dei draghi, ultima erede della stirpe dei Targaryen.
E dietro queste vicende storiche vengono rinnovati tradizionali modelli narrativi. I personaggi non sono classificabili all’interno della facile dicotomia tra bene e male, ma la complessità dei protagonisti deriva da uno scrupoloso realismo psicologico.
In Trono di Spade, il conflitto tra angeli e demoni si svolge all’interno di ciascun personaggio. Il guerriero e la regina, l’eroe e la prostituta devono combattere con la stessa costitutiva ambiguità. In una lotta incessante con le paure più oscure, gli istinti più bestiali, le debolezze più innominabili. E, alternativamente, gli stessi personaggi suscitano stima e repulsione, simpatia e disgusto. Tra crudeltà e compassione, ogni personaggio è camaleontico; nessuno ha una natura definita e predeterminata.
La specificità della saga letteraria e della serie televisiva si annida proprio qui: nella possibilità di costruire nel tempo – volume dopo volume, episodio dopo episodio – le psicologie di queste personalità sfaccettate, fatte di dettagli, di vezzi, di gesti. Solo così il lettore e lo spettatore possono conoscere intimamente i tormenti dell’animo dei protagonisti nei quali riconoscono sé stessi.
È il dramma della caducità umana dove ogni personaggio è precario a sé stesso. Gli stessi spettatori sono stati sottoposti al trauma della perdita: l’appuntamento con il destino ha sacrificato anche gli eroi più amati sull’altare della Storia. Tutti i personaggi sono importanti, ma nessuno indispensabile per il dispiegarsi delle Cronache del ghiaccio e del fuoco.
L’episodio che più ha scosso gli spettatori – il famoso red wedding della terza stagione – dove viene trucidata a tradimento metà della famiglia Stark, non è che una straordinaria messa in scena di un classico della storia rinascimentale. Una citazione dal Machiavelli che racconta la vicenda di Oliverotto Euffreducci, Signore di Fermo, che prima conquista il potere trucidando durante un banchetto in suo onore lo zio e tutti i notabili fermani e poi fa la stessa fine a Senigallia, la sera di Capodanno, strangolato per mano di Cesare Borgia insieme a tutti gli avversari del Valentino.
Anche l’apice della sesta stagione – l’episodio della “Battle of Bastards” , la battaglia tra l’esercito di Jon Snow, il bastardo di casa Stark, e le truppe di Ramsey, figlio illegittimo di Lord Bolton, usurpatore di Grande Inverno – non è stato solo un’impresa senza precedenti per una produzione televisiva, con un investimento di più di 10 milioni di dollari spesi in 25 giorni. La Battaglia dei Bastardi è costruita sul modello di epocali eventi storici del passato: dalla battaglia di Azincourt della Guerra dei Cent’anni alla battaglia di Canne durante la seconda guerra punica. La strategia militare di Ramsay, infatti, è esplicitamente ispirata a quella di Annibale che accerchia, con una manovra a tenaglia, le truppe romane e le distrugge bloccando tutte le vie di fuga.
Un mondo spietato, regolato da un’etica barbarica, dove vige la legge del taglione, dell’occhio per occhio. Il diritto come esercizio della forza in cui i processi sono una farsa e le condanne scontate. Non esiste la giustizia, ma il farsi giustizia e la vendetta si impone come uno valore indiscutibile.
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