“Nessuno, io stessa”. Desdemona e il femminicidio

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The Tragedy of Othello (Orson Welles – 1952)

Articolo uscito su l’Unità del 15/01/2017 – In queste ore campeggia sulle pagine di cronaca italiane la storia una ragazza di 22 anni di Messina ricoverata in ospedale in prognosi riservata con ustioni gravi sul 13% del corpo. La Procura di Messina ha ricostruito subito, attraverso indagini e testimonianze, i fatti che hanno ridotto la giovane in questo stato: il suo ex fidanzato si è presentato a casa della sua ex convivente, l’ha sbattuta per terra, l’ha cosparsa di benzina, le ha dato fuoco con un accendino, è scappato lasciandola tra le fiamme. Il quadro indiziario è chiaro ed evidente per la polizia: il ragazzo – descritto dai parenti come litigioso, geloso e possessivo – è in stato di fermo per tentato omicidio.
Le dichiarazioni della vittima, però, sono discordanti. La ragazza dalla sua stanza d’ospedale urla piena di rabbia e chiede di essere ascoltata con urgenza dalla polizia: “non è stato lui, hanno arrestato un innocente”.

Come conciliare le due versioni? Se diamo per vera la ricostruzione della polizia, è plausibile che la vittima di un tale atto di violenza sia disposta a difendere il suo carnefice? Se l’indagato è davvero colpevole, è concepibile che chi ha subito una simile crudeltà sia disposto a scagionarne l’autore? È pensabile l’impensabile?

Per dipanare il dilemma, non è necessario scomodare la psicanalisi o rievocare la sindrome di Stoccolma in cui la vittima finisce per amare il suo carnefice. Basterebbe chiedere aiuto alla letteratura. E rileggere e rimeditare le strazianti battute finali di uno dei più crudeli drammi shakespeariani: la tragedia della gelosia e degli inganni di Otello.

Ci scuotono, infatti, con tetra chiarezza, le ultime parole di Desdemona, soffocata e uccisa dalla violenta gelosia del suo amato, vittima degli inganni del perfido Jago. Alla domanda “Chi ha commesso questo delitto?” Desdemona risponde flebile prima di spirare: “Nobody, I myself. Nessuno, io stessa”. E si congeda richiamando il suo infinito amore per Otello, il suo assassino: “Addio. Ricordami al mio adorato signore. Addio!”

Desdemona, agonizzante, scagiona il suo carnefice. Accetta il destino avverso iscritto nella propria maligna stella e difende fino alla fine l’amore che l’ha privata della vita: “io l’amo, amo anche la sua asprezza, il suo cipiglio, i suoi rabbuffi”. Otello, “assassino d’onore”, è graziato dal suo infinito amore. Un femminicidio letterario che racconta, con raffinata analisi psicologica, il femminicidio mediatico che scuote le nostre cronache quotidiane. Uno sguardo tagliente sulle inspiegabili reazione delle vittime che sorpassa le fredde analisi giudiziarie delle motivazioni dei carnefici.

Non sembra più tanto impensabile la reazione della ragazza di Messina. “C’est Mon Homme”, “è il mio uomo” recitava la canzone francese degli anni dieci interpretata da Mistinguett e negli anni quaranta da Edith Piaf (senza dimenticare la famosa versione inglese “My man” interpretata da Billie Holiday). “Lui mi picchia, mi prende i soldi, ma – malgrado tutto – è il mio uomo” chiosava il malinconico motivetto.

Si impone, così, una discussione complessa che coinvolge tutti, uomini e donne, carnefici o vittime, che dipana un immaginario profondo e multiforme. Non si tratta solo della cronaca di una violenza brutale, ma degli abissi di una crudeltà propriamente umana che confina in modo inquietante con l’amore. Alla ferinità del gesto brutale e animalesco, si aggiungono le spire soffocanti di una tradizione secolare difficile da sradicare. Al gesto folle di chi vuole violentare il corpo e sfigurare il volto, all’incapacità di elaborare il lutto degli uomini che sfregiano il volto delle loro amanti perdute fanno eco le origini culturali di una forma mentis ancestrale. Il richiamo della foresta: quel lontano diritto di proprietà che conduceva sulla pira le mogli dopo la morte del marito, impossibilitate a essere qualcos’altro se non la parte complementare di un uomo.

“Nessuno, io stessa” dice Desdemona addossandosi una colpa che non ha commesso. Si sente l’eco di un peccato originale attribuito alla donna: la colpa di non voler essere posseduta e controllata pienamente, di rimanere un’identità ingovernabile e incancellabile. “Je n’suis qu’un’ femme. Non sono altro che una donna”, cantava Mistinguett.