La più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno
è di essere di buonumore.
Voltaire
Articolo apparso su l’Unità del 3 gennaio 2017.
Conservare il buon umore. In tempi attraversati da conflitti insanabili, il buonumore accomuna Renzi ai tormenti del Youg Pope e svetta in cima ai buoni propositi per il nuovo anno. Ma il buonumore, oggi, è merce rara.
La satira dei nostri tempi bui, infatti, si è spesso trasformata in mero sarcasmo fondato sul dileggio e sull’offesa. L’ironia si è deformata in caustica derisione che disprezza ostentatamente l’oggetto di cui si occupa, in ghigno corrosivo incapace di nascondere l’odio settario di chi si prende troppo sul serio. Una risata, questa, che sfocia immancabilmente in un dilagante malumore. L’anticamera dell’indignazione e dell’antipolitica. La sarcastica denuncia del malaffare, infatti, si limita a proclamare il ruolo salvifico del comico, ad autoeleggersi giudice morale dei tempi.
“Il malumore – scrive, con incredibile modernità, Shaftesbury nella sua famosa Lettera sull’entusiasmo datata 1707 – induce un uomo a pensare seriamente che il mondo sia governato da una potenza diabolica e che ridere equivalga a una blasfemia”. Al malumore del fanatico bisogna rispondere con il gioioso buonumore di chi si prende poco sul serio. Alla risata aggressiva, reazione ferina simile a quella dell’animale che digrigna i denti per difendersi, si deve contrapporre una risata socievole, che conservi il segreto della sua libertà. Soltanto il buonumore, conclude Shaftesbury, è capace di sconfiggere l’intolleranza. Soltanto la “presa in giro”, la “libertà di canzonare senza offendere” può annientare definitivamente il fanatismo.
Ne è stato un perfetto esempio “Edicola Fiore”. Le chiacchiere casiniste di Rosario Fiorello e della sua compagnia che hanno accompagnato, tutte le mattine alle 7.30 su SkyUno, la lettura dei giornali dell’anno appena trascorso. La preghiera del mattino, come Hegel definiva la lettura dei quotidiani nel mondo moderno, si è liberata dai gravosi bollettini di disgrazie per diventare una divertente e scanzonata edicola del buonumore. Un format unico, un ibrido tra radio e web, che ha unito chiacchiere sui social, discussioni da bar e performance live con ospiti, musica e imitazioni.

Un improbabile bar popolato da macchiette demenziali e cori goliardici, ha assolto per settimane a una missione impossibile: cambiare l’umore quotidiano del suo pubblico.
La comicità goliardica, infatti, si basa – passateci il termine – sulla consapevole produzione di “stronzate”. Per nobilitare la scelta terminologica potremmo citare il filosofo statunitense Harry Frankfurt che, nel suo libro dal titolo “Stronzate. Un saggio filosofico”, scrive: “Uno dei tratti salienti della nostra cultura è la quantità di stronzate in circolazione. Ciascuno di noi dà il proprio contributo.”
Se è vero che la società contemporanea si alimenta di stronzate spacciate per verità, di bufale, di sciocchezze retoriche e prive di fondamento, l’umorismo goliardico è capace di utilizzare, per far ridere, proprio lo stesso materiale invertendone la direzione. Producendo puro e semplice “non senso”, le stronzate fanno ridere senza odiare, alleggeriscono senza aggredire, canzonano senza offendere. Stronzate, volutamente disordinate e senza senso. Stronzate che ritornano sotto forma di risata, prive dell’allure di serietà di cui si erano ammantate.
In questo paradosso si nasconde il segreto della goliardia che, da tempo immemore, è proporzionale alla pesantezza dei tempi. Il ristoro della risata autentica e genuina, perché totalmente futile e disimpegnata, è l’unica valvola di sfogo quando la gravosità del presente diventa insopportabile. Dalla goliardia universitaria contrapposta al clima di radicale contrapposizione degli anni cinquanta agli scanzonati di Arbore in Quelli della notte durante gli “anni di piombo”. Fino alla vitalità esuberante di Edicola Fiore ai tempi del linciaggio mediatico.
Una comicità – che va da Petrolini a Totò, da Arbore a Fiorello – basata sull’assurdo. Un non senso che irrompe nel reale e fa saltare i nessi logici del discorso, che rende inutile qualunque argomentazione. Un’iniezione illogica che, trasformando magicamente la realtà in musical, rende impotente l’impegno a rispettare la logica del ragionamento. Credo quia absurdum è la fede su cui si fonda questa comicità straniante.
Il buonumore causato da queste battute, quindi, non è affatto figlio dell’incoscienza e dell’ignoranza. Al contrario, è il risultato di un pensiero maturo, di una consapevolezza che fa leva sulla profonda irrazionalità del reale, sull’autentica illogicità del quotidiano: “Chi vuol essere lieto sia, del reale non c’è certezza“, parafrasando il Magnifico.
Insomma, l’umorismo basato su battute divertenti e scanzonate (e il buonumore che ne consegue) non va sottovalutato. È l’ultima spiaggia della convivenza civile, una valvola di sfogo che può trasformarsi in desiderio positivo e creativo per uscire dai tempi uggiosi e tempestosi che ci tormentano. Un inno alla vita e alla vitalità che parte da scoppi di risate immotivate.
La leggerezza di una risata scanzonata ingenera una dilagante “simpatia” – letteralmente “sentire insieme” – che accomuna l’alto e il basso, che avvicina il potente al popolo senza metterlo alla gogna.
La boutade instilla il buonumore senza uno scopo definito: non deve educare il pubblico, né castigare i costumi, né additare colpevoli. L’unica finalità della battuta per la battuta, quindi, è la riscoperta del benessere individuale e collettivo, del buon vivere insieme. Con una risata divertente e divertita, si possono lenire le ambasce del presente, medicare le ferite quotidiane, smussare le contrapposizioni pretestuose e allontanare i pregiudizi. Una sorta di “terapia antidepressiva” gratuita. Come scrive Freud a proposito dell’umorismo: “Il mondo che sembrava tanto pericoloso può essere un gioco infantile, buono per scherzarci su”.
Questo invito al “buon vivere” – che cambia il proprio umore trasformando la bile carica di aggressività in autoironica leggerezza – può essere, quindi, un’attività eversiva che rompe la cappa di feroce indignazione sempre più opprimente. Praticare l’allegria diventa un’attività rivoluzionaria quando la fede uggiosa in “è tutto un magna magna” è diventata il credo reazionario, il pensiero unico anestetizzato che si nutre vampirescamente di un’insoddisfazione che contribuisce ad alimentare.
Signore concedimi il senso dell’umorismo.
Dammi la grazia di intendermi di scherzi,
per assaporare un po’ di felicità in questa vita e poterla donare agli altri.
Amen.Tommaso Moro
Sposare buonumore non è facile e scontato: implica un difficile lavoro su di sé, uno sforzo di guardare il mondo con altri occhi che si libera da un clima saturo di passioni biliose. Come recita un motto volterriano diventato famoso: “La più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è di essere di buonumore”.
Se non possiamo cambiare il mondo, meglio iniziare la giornata cambiando noi stessi. Basterebbe rileggere la preghiera di Thomas More: “Signore concedimi il senso dell’umorismo. Dammi la grazia di intendermi di scherzi, per assaporare un po’ di felicità in questa vita e poterla donare agli altri. Amen”.