L’arcobaleno di Sanremo

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l’Unità 11/02/2017 – Con il suo fischio inconfondibile e il suo stile indie-pop, la ballata nostalgica e graffiante Lost on you” di Lp – la cantautrice italo-americana schizzata al successo nell’ultimo anno – ha risvegliato a notte fonda un pubblico estenuato dalle infinite e noiose esibizioni in gara. Oltre a ringraziarla per la performance, nessuno ha fatto esplicito riferimento alla sua dichiarata omosessualità. Come lei stessa ha dichiarato: “Non voglio essere definita una songwriter gay. Ma non è un segreto, per me essere omosessuale è come avere gli occhi”.

I tentativi di portare l’attenzione sull’orientamento sessuale, invece, sono diventati materiale per siparietti umoristici, tanto scontati quanto inefficaci. Da Luca e Paolo che speravano di strappare una risata con la battuta: “Non siamo in linea con le scelte editoriali, siamo dei diversi: ci piace la patata”. Alla sparata della Balivo: “Sei bono, Ricky, pure se sei frocio”. Fino alle ancor più volgari e lamentose (se non fossero tragiche) dichiarazioni di Mario Adinolfi, preoccupato per la scalata della lobby Lgbt nella coscienza nazionalpopolare.

Ma, con buona pace di chi vorrebbe definire apriori l’orizzonte di ciò che si può vedere, lo spettacolo televisivo, per la sua natura inclusiva, non se ne cura e fa (o almeno ci prova) il suo mestiere. D’altronde, il processo di secolarizzazione non è iniziato ieri. Sono passati vent’anni da quando, nel 1996, Federico Salvatore celebrava un angoscioso coming out con il brano Sulla porta. Fino ai nastri arcobaleno dell’anno scorso, mentre in palamento si discuteva della legge Cirinnà sulle unioni civili. Ora conduce Maria De Filippi che ha sbancato con il “Trono Gay” di “Uomini e donne”, foriero di infinite polemiche e finito tra baci, pianti liberatori e auditel stellare.

Sanremo non può che evolvere e allinearsi alle icone di successo della società contemporanea e, forse inconsciamente, le include nella sua e nella nostra normalità. D’altronde, per scardinare i pregiudizi, val più una puntata sanremese o un tronista omosessuale, di mille appelli moralistici. La battaglia contro l’omofobia e la discriminazione si gioca – anche e soprattutto – sul piano dell’immaginario. Come ha commentato francescanamente Carlo Conti: “chi sono io per giudicare?”