Nel labirinto del Minotauro. I nostri amati mostri

Il mio articolo uscito su l’Unità del 5 luglio 2023, dedicato agli “Amati mostri” (il tema del festival Popsophia – edizione Pesaro 2023) – “Il minotauro sognò di essere un uomo, eppure mentre sognava sapeva di essere un mostro cui mai sarebbe concesso linguaggio, mai fratellanza, mai amicizia, mai accoglienza, mai amore, mai intimità, mai il calore. Sognò come gli esseri umani sognano gli déi”.

Così Friedrich Dürrematt riscrive il mito del Minotauro, il mostro per eccellenza, un ibrido, il corpo di un uomo e la testa di toro; una figura duplice che tiene insieme la malinconia dell’humanitas e la ferocia dell’animalitas.

Una storiaccia da manuale di psicanalisi. La bellezza di un magnifico toro conquista Pasifae, la moglie di Minosse, re di Creta. La regina nascosta dentro la prima macchina del sesso della storia, una giovenca in legno progettata dal grande Dedalo, si offre alla bestia e dal mostruoso rapporto nasce il Minotauro, letteralmente il taurus, il toro di Minosse. Lo rinchiudono nel labirinto realizzato dal solito Dedalo. Gli ateniesi ogni anno devono sfamare i suoi appetiti consegnandogli l’innocenza di sette fanciulli e di sette fanciulle. Sarà l’eroismo di Teseo a spezzare la spirale di sesso e morte. Con un artificio raggiunge il centro del ‘dedalo’ e trafigge l’essere deforme. 

Da allora, però, il minotauro continua a sopravvivere nella fantasia di artisti e scrittori che hanno cantato la sua triste storia. Da Picasso a Borges, dalla Yourcenar a Cortázar, in tanti hanno cercato negli occhi di questa creatura di confine – spaventosa e spaventata, al tempo esclusa e rinchiusa – tutte le ambiguità del mostruoso che alberga nel cuore dell’umano.  

«Picasso en minotaure» foto di Edward Quinn

Anche l’etimologia del termine latino monstrum ci può illuminare. Deriva dal verbo “monere”, che significa “ammonire, avvertire”. Il mostro è un monito, un avvertimento, un segno prodigioso inviato dagli dèi, un presagio tremendo che viene da un altro mondo e che siamo chiamati a interpretare.

Riusciremo a interpretare il messaggio enigmatico e sfuggente che arriva dal monstrum?

“Il mostro racconta quasi caricaturalmente la genesi delle differenze”, ha scritto il filosofo Michel Foucault che ha dedicato al mostruoso alcune delle sue lezioni al Collège de France sugli “anormali”. I mostri sono l’incarnazione di una diversità, di una deviazione dalla norma, di un’anomalia rispetto al canone, di un eccesso sproporzionato rispetto alla medietà. Il mostro, in quanto a-normale e de-forme, è l’escluso per eccellenza. In questa prospettiva, il mostro non è necessariamente il “cattivo”, ma molto più spesso è il segno di un’infrazione biologica (il “freak”) o giuridica (il “criminale”).

Ma il criterio con cui individuiamo questa anomalia mostruosa non è oggettivo e non è univoco. Ogni epoca storica ha la sua “teratologia”, la sua tassonomia mostruosa: ciò che è mostruoso per una società e per un individuo, non lo è necessariamente per un altro contesto e per un altro ambiente sociale.

Pensare il mostro, dunque, vuol dire interrogarsi sul relativismo delle nostre categorie morali e identitarie. Chi ha il potere di definirle e modificarle ha il potere di ‘mostrificare’ l’altro: creare mostri vuol dire detenere il potere di includere e di escludere qualcosa o qualcuno dal cerchio dei normali.

“Se tutte le tappe della mia vita potessero essere rappresentate come punti su una mappa e unite con una linea, il risultato sarebbe la figura del Minotauro” scriveva Picasso nel 1935

Per usare un esempio pop: il mostro è come il “molliccio” di Harry Potter, una creatura informe che prende le sembianze di ciò che – in quel preciso momento e in quel preciso contesto – ci fa più paura. E la società di massa – dal true crime alla serialità televisiva, dai videogiochi all’intelligenza artificiale – produce costantemente mostri usa e getta, da amare, da deridere, da temere, da sacrificare.

D’altronde l’esigenza di costruire un confine tra “noi” e gli “altri”, tra “alleati” e “nemici”, tra “normali” e “mostri” è costitutiva dell’essere umano, ci fa sentire protetti e al sicuro. Creiamo la nostra identità in contrapposizione a quella dell’altro da noi. Non è un caso che il sistema binario su cui sono costruiti i nuovi media – sempre divisi tra “followers” e “haters” – alimenti a dismisura questa tendenza alla polarizzazione e alla ‘mostrificazione’.

Ma la costante spettacolarizzazione del mostruoso e il suo incredibile successo ci aiuta a capire qualcos’altro: dietro la paura del mostro, si nasconde una forma di attrazione; un desiderio perverso che ci spinge ad amare i mostri oltre che a respingerli.

Il mostruoso ingenera una reazione doppia di repulsione e attrazione, un sentimento di terrore e di meraviglia. Forse perché rappresenta l’irregolare e l’illecito: racchiude tutto ciò che non possiamo fare e che non possiamo essere, ma che segretamente desideriamo sperimentare e desideriamo incarnare. L’amore per il mostro è l’amore per il proibito.

Anche nel linguaggio comune usiamo la parola “mostro” in modo duplice: definiamo mostruoso un comportamento immorale, ma anche un record atletico o un risultato scientifico. E non a caso “freak out” diventa il motto di una generazione di ribelli che rifiutano i canoni normati e normalizzanti della società. Ogni controcultura è sempre figlia del mostruoso, così come ogni rivoluzione rivendica un termine originariamente ingiurioso come affermazione positiva di una diversità.

Siamo attratti dall’eccezionalità del mostruoso. L’amore per i mostri svela il nostro desiderio di sfuggire alla tirannia della normalità. In un mondo che cerca di eliminare i mostri e di nascondere le anomalie, cerchiamo uno specchio per far risplendere non solo le nostre paure, ma anche i nostri desideri più oscuri e inconfessabili. Ci innamoriamo dei mostri perché grazie a loro superiamo il limite di ciò che ci è consentito. Attraverso il filtro delle creature mostruose dell’immaginario pop, evochiamo le forze caotiche che albergano nel nostro inconscio.  

“C’è una cosa che preferirei all’uccisione del Minotauro – dice il Teseo di Cortázar – essere il Minotauro”. L’eroe, schiacciato dalla responsabilità, vuole dismettere i panni che il suo ruolo gli impone. Ognuno di noi vuole sfuggire al destino che gli è stato assegnato e segretamente desidera essere il Minotauro, libero nella sua prigione. 

“C’è solo un mezzo per uccidere i mostri – risponde il Minotauro a Teseo, prima di offrirsi alla sua spada senza opporre resistenza – accettarli!”.