Articolo apparso su l’Unità del 23/01/2015
Adele ha raggiunto il record dei record. Il video del singolo “Hello”, tratto dal suo terzo e attesissimo album “25”, ha ottenuto oltre un miliardo di visualizzazioni su Youtube in meno di 90 giorni. L’ennesima conferma di un successo virale senza precedenti. Qual è l’ingrediente segreto che ha reso milioni di persone dipendenti dalla voce di una giovane cantante di Tollenham?
Partiamo da un dato oggettivo: Adele attraversa i confini tra ordinario e straordinario. È una ragazza bianca della provincia inglese, eppure ha la voce soul della cultura black. Ha una fisicità che non risponde ai canoni estetici dello star system, eppure ha uno straordinario talento nascosto. Non è trasgressiva come le pop star dell’ultima generazione, eppure ha uno stile da imitare. Insomma: Adele è il simbolo della straordinarietà che si nasconde nella normalità, della provincia sperduta che diventa il palcoscenico del mondo. Adele è indie e pop allo stesso tempo e unisce mondi diversi per età, estrazione sociale e provenienza.
Ma il singolo “Hello” ha un’ulteriore carta vincente: la qualità estetica del videoclip. Si tratta di un vero e proprio cortometraggio girato dal giovanissimo regista canadese Xavier Dolan. La quinta scenica è una casa abbandonata. Sotto la polvere che ricopre i mobili, si cela un mondo perduto e dimenticato, aleggia la presenza fantasmatica di qualcuno che se n’è andato.
Adele chiude gli occhi, parte la musica. E lo spazio diventa tempo. Le cose diventano ricordi. Gli oggetti diventano memoria. Il viaggio nella casa si trasforma in un viaggio nel passato in cui affiorano frammenti di un mondo perduto. La voce straziata di Adele fa da timoniere in un naufragio dai toni seppia della nostalgia. E le lacrime che solcano il suo volto sono speculari a quelle di chi la ascolta.
Ecco il vero ingrediente segreto intergenerazionale! La canzone di Adele è un sortilegio nostalgico che strappa le lacrime autentiche del rimpianto. Una malattia contagiosa che si diffonde come un’epidemia e che conduce alla paralisi melanconica. E una volta infettato, il malato di nostalgia desidera solo una cosa: riascoltare ancora i suoni che gli ricordano la sua sofferenza.
I milioni di clic di “Hello”, quindi, non sono altro che la forma contemporanea di un’antica malattia veicolata dalla musica: la voce autentica della nostalgia. Il cantante pop svolge un ruolo antico, quello del musico che, nell’Odissea di Omero, fa piangere Ulisse cantando le avventure del passato. La canzone pop, cioè, è al contempo dolorosa e catartica. Ci costringe a una presa di coscienza lacerante: il passato e, con lui, gli amori e le imprese della giovinezza sono irrimediabilmente perduti. Ma, contemporaneamente, è proprio la canzone l’unica salvezza, l’unica terapia per il dolore che essa stessa ha causato, l’unico modo per elaborare questa disperata consapevolezza.
La ballata malinconica di Adele, infatti, poco si presta ad un’asettica analisi di critica musicale: la riconoscibilità mainstream della sua voce calda e scura ci ricorda lo struggimento per l’irreversibilità del tempo. Tanto basta.
È la nostalgia, infatti, il motore più potente del mondo contemporaneo. Quell’istinto primario e universale che – nei momenti di passaggio verso una nuova fase della vita o della storia – guarda nostalgicamente indietro, alle certezze del passato invece che alla incertezze del futuro. Nella salda convinzione che, come scrive Proust, i veri paradisi sono quelli perduti.
Niente definisce meglio il presente se non l’impossibilità di viverlo senza amarezza. Mentre la polvere ricopre le suppellettili del nostro vecchio mondo, ci assale il sospetto di aver lasciato lì, insieme alla giovinezza, anche l’unica possibilità di felicità.
Quindi, non ci resta che dare un benvenuto agrodolce a una nuova generazione nostalgica che, ad ogni età, è sempre vedova degli anni migliori. “Hello from the other side”. O meglio, “Bonjour Tristesse”.