ARTICOLO USCITO IL 19 GIUGNO 2024 SU REPUBBLICA.IT – Fermati, luce! È arrivato il solstizio d’estate, il momento in cui il sole si “ferma” (sol, sole e sistere, fermarsi) più a lungo nell’emisfero settentrionale e raggiunge il culmine del suo apparente percorso ascensionale. Un evento astronomico che si carica di un potente valore rituale e sacrale, un momento venerato da tutte le culture del nord del mondo. Dalle antiche civiltà italiche alle tradizioni celtiche fino alle religioni orientali, il solstizio è una celebrazione dell’equilibrio ciclico della natura, ma anche un giorno simbolico di esaltazione della luce e della vita.
A dispetto dell’antico dies natalis del sol invictus di fine dicembre, il giorno più corto dell’anno in cui ri-nasce il sole, a cui si fa corrispondere il giorno della nascita di Cristo nel calendario cristiano, il solstizio estivo è celebrato come il vero momento iniziatico della resurrezione.
Nei giorni di fine giugno si apre quella Porta che unisce terra e cielo, in cui l’infinito tempo della natura e il tempo finito della vita umana si incontrano e si toccano. Dalle ritualità pagane arcaiche alle celebrazioni cristiane, da Giano Bifronte ai due San Giovanni, il solstizio è una soglia, un contatto tra due mondi, un momento di passaggio che incarna la possibilità (o il rischio) del cambiamento e della trasformazione.
In quella notte si concentrano tutte le ritualità apotropaiche di prosperità e di fertilità, a protezione della stagione del raccolto. Dalla Norvegia alla Russia, dalla Spagna alla Boemia, si celebra la festa del fuoco, “la più diffusa e solenne di tutte le feste rituali dell’anno celebrate dai popoli primitivi d’Europa”(James G. Frazer Il ramo d’oro). La notte di mezza estate o di San Giovanni viene rischiarata dalle fiamme. I popoli ballano e cantano intorno a grandi falò. Fiaccole accese illuminano le strade e le ruote infuocate ruzzolano per i campi: le luci incamerano l’energia solare e allontanano demoni, streghe, spiriti maligni di ogni genere che possono intaccare i campi e le comunità.
Per allontanare le malattie dai corpi, “in queste occasioni si portavano collane di artemisia o di verbena”. Le donne preparavano l’acqua di San Giovanni con fiori, foglie ed erbe curative raccolte in campagna. Un’acqua profumata dalle infinite proprietà benefiche e dalle virtù salvifiche, acquisite dalla rugiada notturna, sotto il cielo magico dei giorni più lunghi dell’anno. Una ritualità tutta al femminile, tramandata dalla saggezza contadina e oggi tornata alla ribalta su Instagram, proprio grazie alla poesia del catino colmo d’acqua e di fiori di campo variopinti.
Nelle notti magiche del solstizio tutto è possibile, il mondo razionale della città incontra il mondo magico del bosco, abitato da esseri invisibili e potenti, come Oberon e Titania, il re e la regina delle fate di Midsummer night’s dream di William Shakespeare. Il sogno shakespeariano non è ambientato nel “mezzo” dell’estate, come affermano le consuete ed errate traduzioni, ma all’inizio dell’estate – proprio nel giorno del solstizio, tra il 21 e il 24 giugno – quando si liberano le energie amorose e sessuali che uniscono tutte le creature. Il momento perfetto in cui celebrare le nozze sacre tra il mondo della luce e quello della tenebra.
La magia del solstizio segna l’inizio della stagione estiva, il vero capodanno di massa che chiude la fredda e triste stagione del lavoro e apre la calda e radiosa stagione delle ferie. Le vacanze estive popolano il nostro immaginario come vero e proprio rito contemporaneo che dà vita a un mondo parallelo e a un tempo sospeso: trasferirsi in campagna, al mare, in montagna implica un allontanamento dalla routine, dal grigiore e dalla banalità della quotidianità. L’estate è la stagione della grande transumanza: ci si sposta altrove per rompere con la normalità, in spazi che per definizione trapassano dall’assenza alla presenza.
L’estate diventa un album di momenti irripetibili che rimangono indelebili nella nostra memoria: un’atmosfera rarefatta in cui bere a grandi sorsi la vita, in cui afferrare la pienezza di un amore fugace, in cui dimenticare doveri e orari normali, in cui recuperare la cura di sé perduta dietro alle scadenze del lavoro.
Il periodo magico della festa del fuoco allora non è più un rito stagionale legato alla vita agricola che garantisce abbondanza del raccolto e fertilità del terremo, ma uno stato permanente di luce che promette di non spegnersi mai per dare inizio alla stagione del divertimento e della spensieratezza che accende la piazza del paese e illumina il lungomare della costa.
Purtroppo il solstizio estivo ha in sé qualcosa di agrodolce. L’inizio della stagione porta con sé il presagio della sua fine. L’attesa della felicità vacanziera ha in sé la consapevolezza della sua vorace fugacità. Anche per il giorno più lungo dell’anno arriva il tramonto. Inesorabilmente, la luce accoglie la tenebra e le giornate iniziano ad accorciarsi. Arriva il tramonto, quell’ora labile, precorritrice della notte, dove sfumano i confini delle cose, dove le grandi speranze si trasformano in malinconici rimpianti.
“Estate, sei calda come i baci che ho perduto, sei piena di un amore che è passato, che il cuore mio vorrebbe cancellar”. Odio l’estate cantava Bruno Martino nel 1961. Nei versi di questo tormentone immortale della canzone italiana la stagione più amata e attesa è sotto processo: le vacanze estive sono destinate a finire sempre nello stesso modo. Con un addio.
Per questo, il topos letterario e cinematografico delle vacanze estive – con le gloriose aspettative e le inevitabili delusioni – diventa sempre una sfavillante e tragica metafora della parabola della vita e dei suoi riti di passaggio, dall’adolescenza all’età adulta, dalla vitale innocenza della giovinezza al consapevole tramonto della maturità.
Paradossalmente l’estate in genere viene considerata una stagione gioiosa e l’inverno una stagione triste, ma “i due solstizi hanno un carattere opposto – scrive René Guénon in Simboli della Scienza sacra – Infatti, ciò che ha raggiunto il suo massimo può ormai solo decrescere” e, dopo il giorno più lungo, il sole inizia la sua parabola discendente.
Forse per questo – anche in un mondo completamente disincantato come quello odierno – durante i giorni più lunghi dell’anno, riecheggia il fascino arcaico di riti misteriosi che raccontano la duplice festa, che tiene insieme il fuoco e l’acqua, il sole e la luna, il potere benefico della luce e la forza distruttiva delle tenebre.
Nella speranza che nel tenue chiarore del crepuscolo si scorga una nuova aurora e si apra la via della rinascita, ogni anno ci chiediamo fiduciosi, come il protagonista dell’ultimo romanzo di Cesare Pavese: “Li hanno fatti quest’anno i falò?”