Durante le audizioni per la “Capitale italiana della cultura 2024” ho avuto il compito di sintetizzare, davanti alla commissione ministeriale, la filosofia del progetto presentato dalla città di Pesaro: “La natura della cultura“. Ecco il video dall’audizione (il mio intervento dal min. 15.00) e il testo del mio speech dal titolo “La Pesaro che non c’è e la forza dell’utopia”.
PESARO – 3 MARZO 2022 – “Uno dei filosofi viventi più influenti del mondo – Byung-Chul Han – ha dedicato, nel suo ultimo libro, pagine bellissime alla musica Rossini: la musica di Rossini è talmente leggera e ricca di sentimento da farci immaginare di vivere a Utopia, la città che non c’è, la città perfetta, la città della nostra immaginazione.
Ecco la sfida a cui oggi siamo chiamati – a cui la città di Pesaro, la città di Rossini vuole rispondere: non solo raccontare la città che c’è (preservando e valorizzando un’identità paesaggistica e culturale unica al mondo), ma immaginare la città che non c’è, sognare, ideare e costruire la città di domani, la città a-venire.
Il presente – due anni di pandemia globale e il ritorno dello spettro della guerra lo dimostrano con drammatica evidenza – ci pone delle sfide inedite che non possiamo affrontare con gli strumenti concettuali e le categorie mentali del passato. La storia ci pone domande complesse che hanno bisogno di risposte nuove che mettono in discussione le nostre certezze e le nostre abitudini individuali e collettive.
Immaginare la Pesaro che non c’è vuol dire, innanzitutto, pensare a modi diversi di abitare, modi diversi di abitare il nostro spazio (tra centro e periferia, spazio reale e spazio virtuale) e di abitare il nostro tempo (tra tempo perduto e tempo ritrovato, tra tradizione e sperimentazione). Lo spazio e il tempo delle nuove generazioni.
Ecco il senso del QU-I – il quartiere dell’immaginario e degli esercizi di cittadinanza culturale che in questi mesi hanno coinvolto i quartieri di Pesaro e tanti comuni della provincia.
L’obiettivo è, come direbbe il poeta Hölderlin, tornare ad “abitare poeticamente” il mondo. Ricordarsi che l’ambiente naturale e l’ambiente sociale (il paesaggio e la città) non sono realtà esterne da noi che semplicemente “utilizziamo” per vivere, ma paesaggi culturali che riscriviamo e plasmiamo continuamente con le nostre memorie e con i nostri desideri.
Quando il mondo si trasforma in una distopia che risveglia incubi che pensavamo di avere sconfitto, è ancora più importante impegnarsi per realizzare un’utopia locale che può essere un modello per un’utopia globale”.